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TIPOLOGIA: Film

TEMA: Disabilità fisica (paralisi cerebrale)

TITOLO: “37 seconds”

DURATA: 115 min

REGIA: HIKARI

CAST: Mei Kayama, Misuzu Kanno, Shunsuke Daitō, Makiko Watanabe, Minori Hagiwara, Yuka Itaya, Shizuka Ishibashi, Kiyohiko Shibukawa, Shôhei Uno…

GENERE: Drammatico

CLASSIFICAZIONE: 🟢 *

TRAMA

Una fumettista giapponese con paralisi cerebrale, a causa di un’asfissia da parto durata 37 secondi, intraprende un viaggio alla scoperta della propria identità personale e sessuale, divisa tra gli obblighi verso la sua famiglia (in particolare la madre) e il suo sogno di diventare una disegnatrice di manga indipendente da chiunque: sarà l’incontro con l’editor di un magazine a sbloccarla…

COMMENTO PERSONALE **

Non so dire se “37 seconds” mi sia piaciuto oppure no, ma intanto serve fare una premessa: il Giappone è un Paese affascinante, per certi versi straordinario, sapendo essere estremamente moderno pur tutelando le sue tradizioni e la sua antica cultura. Il fronte disabilità, però, rappresenta un chiaro esempio tra tutte le sue contraddizioni, in quanto da un lato abbiamo un progresso tecnologico e architettonico decisamente avanzato, in grado di abbattere le barriere fisiche molto meglio di quanto, il più delle volte, (non) riusciamo a fare noi (ad esempio, vediamo spesso autobus con pedane mobili sui quali è possibile salire e scendere senza problemi, grazie anche alla disponibilità e gentilezza dei conducenti, così come locali accessibili e tutti gli altri spazi urbani nei quali il film è costantemente immerso); dall’altro lato troviamo una serie di pregiudizi e stereotipi sul limite della discriminazione che portano, come si sa, buona parte delle persone con disabilità a vivere tutt’oggi isolate e non pienamente incluse nella società giapponese.

Mi ha molto colpito, ad esempio, una semplice frase (SPOILER, salta al paragrafo successivo se non vuoi leggerlo) detta da uno dei ragazzi che la protagonista incontra durante un appuntamento: “Non avrei mai pensato di sentirmi a mio agio con le persone con disabilità”. In questo si percepisce quanto i disabili siano “distanti” e poco “vissuti” dal resto dei cittadini, tant’è che Yuma stessa conferma in tutta risposta “Siamo come tutte le altre persone”, rimettendo al centro il concetto di “persona”, un punto fondamentale che verrà ricercato per tutta la durata del film, insieme all’autonomia e indipendenza non solo lavorativa ma anche personale e sociale.

Ma i pregiudizi li troviamo anche in altre occasioni, ad esempio quando la direttrice (attenzione, nel film i sottotitoli traducono “direttore”, al maschile, nonostante si tratti di una donna, e questo è un altro esempio di scarsa inclusione) di una casa editrice, guardando i fumetti di Yuma e le scene di sesso rappresentate, le chiede “Hai mai fatto sesso?”, e dopo aver ricevuto come risposta “No” le conferma: “Immaginavo”. Questo perché secondo il suo parere le scene erotiche sarebbero poco realistiche, in realtà è senz’altro vittima di un bias che ha rafforzato la sua convinzione sul fatto che i disabili raramente facciano sesso.

Importante poi come, al di là della sfera sessuale, siano trattati alcuni temi come quello della riservatezza: in una scena (SPOILER) Yuma tenta di masturbarsi davanti allo specchio come farebbe liberamente chiunque, ma nel suo caso l’azione viene interrotta dalla madre che entra nella sua stanza. La mancanza di una vera e propria privacy per le persone con disabilità, dovendo dipendere dagli altri, è una questione rilevante che deve essere garantita a prescindere, in ogni ambito (questo vale anche per – SPOILER – la fuga decisiva di Yuma, che prendendo coraggio si allontana dalla madre per più giorni, dimostrandole a posteriori di sapersela cavare da sola), e in questo trovo che “37 seconds” svolga bene una certa azione di sensibilizzazione (un po’ meno sul fronte sessuale, riducendo tutto o quasi al sesso a pagamento, come se un’alternativa “romantica” fosse praticamente impossibile, costruendo quasi una sensazione di rassegnazione).

In conclusione, non credo che questo film lo consiglierei come prioritario rispetto ad altri riguardanti la disabilità. Nel complesso però non è un lavoro malvagio e si fa guardare nonostante la necessità dei sottotitoli, anche se l’ho trovato eccessivamente lungo e piuttosto lento, con vari momenti vuoti e malinconici (alcune volte ho rischiato pure io di essere vittima di pietismo verso la protagonista). Inoltre, anche per quanto riguarda l’attrice principale Mei Kayama, nonostante sia apprezzabile il fatto che sia stata scelta una persona realmente disabile per rappresentare la protagonista, si percepisce fin troppo la sua amatorialità e non l’ho trovata purtroppo all’altezza del ruolo, troppo spenta e poco coinvolgente.

Per chi è appassionato di film nipponici “37 seconds” è senz’altro una scelta valida purché si considerino le caratteristiche della cultura giapponese e il suo livello di inclusione non certo elevato: la storia nel complesso non è chissà quanto entusiasmante, ma sarà interessante entrare in certe dinamiche sociali attraverso la corporeità di ogni singolo personaggio, che porterà ad un vero e proprio “percorso di formazione” di Yuma.

  • PRO: Una discreta rappresentazione del livello di inclusione giapponese e, purtroppo, dei pregiudizi che ancora la caratterizzano.
  • CONTRO: Sceneggiatura lenta, a tratti vuota, con una storia non proprio entusiasmante e un’attrice un po’ troppo amatoriale.

* LEGENDA CLASSIFICAZIONE:
🔴 = parla di disabilità in modo totalmente sbagliato (con pietismo, compassione, «inspiration porn» o eccessiva «romanticizzazione») e inoltre ha una pessima trama, banale o emotivamente ruffiana, facendo leva sulla pancia del pubblico;
🟡 = parla di disabilità non del tutto correttamente a livello concettuale ma ha una trama molto piacevole, emozionante, divertente o con punti interessanti (insomma, rappresenta comunque un buon prodotto di intrattenimento, così godibile però da non far pensare allo spettatore medio che quello che sta guardando non è proprio inclusivo);
🟢 = parla di disabilità in modo perfetto e ha pure una storia che funziona, accattivante, riuscendo a coinvolgere e a emozionare chi guarda in modo “sano”, senza ricorrere a un pietismo dannoso.

** DISCLAIMER:
Ogni commento a film, docu e serie TV è puramente personale: l’analisi sul fronte “inclusione” si fonda sempre su uno studio multidisciplinare ed esperienza professionale, mentre non c’è alcuna intenzione di dare pareri tecnici cinematografici, non avendo specifiche competenze in materia. Ricordo inoltre che l’arte resta ovviamente in gran parte soggettiva, perciò tutte le altre opinioni (compreso quelle divergenti) meritano rispetto e sono valide, basandosi sulle proprie emozioni. Fanno parte di questa lista quei titoli entrati nella grande distribuzione come Cinema, Netflix o Amazon Video; sono quindi escluse opere, soprattutto amatoriali, che sarebbero invece difficilmente reperibili.