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TIPOLOGIA: Film

TEMA: Disabilità mentale

TITOLO: “Mi chiamo Sam”

DURATA: 132 min

REGIA: Jessie Nelson

CAST: Sean Penn, Michelle Pfeiffer, Dakota Fanning, Dianne Wiest, Loretta Devine, Richard Schiff, Laura Dern, Brad Silverman, Joseph Rosenberg, Stanley DeSantis…

GENERE: Drammatico

CLASSIFICAZIONE: 🟡 *

TRAMA

Sam Dawson è un uomo sulla quarantina che lavora in una caffetteria e ha una disabilità mentale che lo rende al pari di un bambino di sette anni.

Sam è costretto a crescere sua figlia Lucy Diamond da solo perché la mamma della bambina li ha abbandonati (aiutato da un gruppo di amici e dalla vicina di casa).

Nel frattempo alcuni incidenti porteranno gli assistenti sociali a strappare la piccola dal padre nonostante la ragazzina voglia tornare insieme a lui: inizierà così una battaglia giuridica…

COMMENTO PERSONALE **

Partiamo dalla premessa solita in questi casi: quello dell’”appropriazione” è un problema noto, ovvero il fatto che attrici e attori non disabili interpretino persone disabili. Problema difficilmente superabile, ad oggi, sia per un fatto culturale che per l’attuale sistema-cinema, e che ritroviamo ad esempio anche nel noto film “Forrest Gump” che tanto mi ha ricordato “Mi chiamo Sam” sia per questo sia per la storia emozionante che, non portando con sé altri grossi difetti, condivide con questa pellicola la mia stessa votazione finale.

Per quanto riguarda questo film c’è poco da dire dato che non voglio entrare nel merito dell’analisi cinematografica in modo approfondito: abbiamo un grande Sean Penn che interpreta in modo magistrale il protagonista, con comportamenti e dialoghi mai scontati e sempre “coerenti” (supportati da musiche e inquadrature molto coinvolgenti in grado di enfatizzare le emozioni, anche quelle più interne, di Sam – alcune immagini sono fotografie che ci resteranno ben impresse nella mente); così come Michelle Pfeiffer è riuscita a calarsi perfettamente nella parte dell’avvocata dura e insensibile che poi però, incontrando il “mondo” di Sam, finisce con lo sciogliersi addirittura sbloccando la sua vita. Ma la vera chicca però sono gli amici di Sam, molti dei quali inscenati da attori con disabilità (alleluia!), con battute divertenti ed estremamente dolci all’interno della trama. 

Il problema di fondo, come già anticipato, resta quella “romanticizzazione” che poco ha a che fare con la vera quotidianità di chi vive una disabilità mentale, strizzando così l’occhio al grande pubblico per colpire più la pancia che la testa, andando a sollecitare una certa commozione. Ciò nonostante sarei ingiusto qualora evidenziassi problematiche particolari che alimentino o confermino pregiudizi o stereotipi (salvo qualcosina come la metodicità di Sam, ad esempio quando riordina le bustine del tè o quando cita con precisione estrema gli aneddoti riguardanti la sua band preferita), forse perché siamo così lontani dalla realtà che è difficile fare un confronto con ciò che viene vissuto (e subìto) da persone “come il protagonista” (che poi davvero come il protagonista non sono praticamente mai).

“Mi chiamo Sam” resta quindi un film assolutamente godibile che, probabilmente, farà perfino scendere una lacrimuccia a qualche spettatrice o spettatore. Dobbiamo però essere consapevoli che, seppur non arrechi particolari danni vista la chiara percezione di “fiction” che si ha guardandolo, non siamo davanti a un lavoro particolarmente utile o formativo ai fini dell’inclusione, proprio per la sua natura “surreale”: l’unica lettura positiva che potrebbe ribaltare tutto questo è quella che ci porta a mettere in luce, per l’improbabilità del finale, quanto la nostra società (e la Legge) dovrebbe considerare e tutelare le emozioni, i sentimenti e le singole situazioni, senza generalizzare con provvedimenti ormai standardizzati che escludono una certa autonomia e autodeterminazione delle persone con disabilità mentale.

  • PRO: Nonostante il solito problema dell’appropriazione, qui abbiamo un grande Sean Penn con una trama tutto sommato emozionante.
  • CONTRO: Classica fiction con situazione non realistica né rappresentativa della disabilità mentale.

* LEGENDA CLASSIFICAZIONE:
🔴 = parla di disabilità in modo totalmente sbagliato (con pietismo, compassione, «inspiration porn» o eccessiva «romanticizzazione») e inoltre ha una pessima trama, banale o emotivamente ruffiana, facendo leva sulla pancia del pubblico;
🟡 = parla di disabilità non del tutto correttamente a livello concettuale ma ha una trama molto piacevole, emozionante, divertente o con punti interessanti (insomma, rappresenta comunque un buon prodotto di intrattenimento, così godibile però da non far pensare allo spettatore medio che quello che sta guardando non è proprio inclusivo);
🟢 = parla di disabilità in modo perfetto e ha pure una storia che funziona, accattivante, riuscendo a coinvolgere e a emozionare chi guarda in modo “sano”, senza ricorrere a un pietismo dannoso.

** DISCLAIMER:
Ogni commento a film, docu e serie TV è puramente personale: l’analisi sul fronte “inclusione” si fonda sempre su uno studio multidisciplinare ed esperienza professionale, mentre non c’è alcuna intenzione di dare pareri tecnici cinematografici, non avendo specifiche competenze in materia. Ricordo inoltre che l’arte resta ovviamente in gran parte soggettiva, perciò tutte le altre opinioni (compreso quelle divergenti) meritano rispetto e sono valide, basandosi sulle proprie emozioni. Fanno parte di questa lista quei titoli entrati nella grande distribuzione come Cinema, Netflix o Amazon Video; sono quindi escluse opere, soprattutto amatoriali, che sarebbero invece difficilmente reperibili.