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TIPOLOGIA: Film

TEMA: Obesità

TITOLO: “The Wale”

DURATA: 117 min

REGIA: Darren Aronofsky

CAST: Brendan Fraser, Sadie Sink, Jacey Sink, Ty Simpkins, Hong Chau, Samantha Morton, Sathya Sridharan…

GENERE: Drammatico

CLASSIFICAZIONE: 🔴 *

TRAMA

Charlie è un professore di inglese gravemente obeso e solitario che tiene corsi universitari di scrittura in videoconferenza, ma senza mai attivare la webcam per non mostrare il suo aspetto fisico agli studenti.

Confinato sul divano e costretto a spostarsi attraverso l’ausilio di un deambulatore, Charlie verte in condizioni di salute molto precarie. Siccome sperimenta episodi di forte dolore al petto e pressione molto alta, Liz (assistente, infermiera e unica amica) insiste che vada a farsi visitare in ospedale, ma Charlie rifiuta poiché non possiede un’assicurazione sanitaria.

Durante un attacco cardiaco, per puro caso interviene Thomas, un missionario della New Life, setta religiosa che Charlie conosce bene ma odia profondamente. Dal momento che il suo intervento ha aiutato Charlie, Thomas si convince che il Signore lo abbia mandato lì per prendersi cura di lui e continua ad andare a trovarlo per salvargli l’anima, ma l’uomo è consapevole di esser vicino alla fine e desidera soltanto riallacciare i rapporti con sua figlia Ellie, adolescente difficile e ferita dall’abbandono di suo padre, avvenuto quando lei aveva otto anni, per stare con il suo nuovo compagno Alan…

COMMENTO PERSONALE **

Quando si tratta di tematiche che non vivo personalmente, prima di scrivere una recensione basata sulle mie opinioni mi confronto ovviamente con chi certe questioni le vive direttamente, nella propria vita e sulla propria pelle. Così ho fatto per “The Whale” e, con piacere (ma avrei preferito di no), ho constatato che l’idea che la maggior parte delle persone attiviste «con corpi grassi» ed esperte di “Fat Studies”, che si occupano di contrasto alla grassofobia, hanno di questo film coincide esattamente con la mia.

Sarò dunque sintetico toccando i punti principali del film che proprio non vanno e che è importante evidenziare, al di là della trama che comprendo possa essere coinvolgente per il grande pubblico (magari con intenti “voyeur”, cioè con quella curiosità morbosa che non si risparmia abbastanza ai considerati fenomeni da baraccone, ma ne parlerò dopo…) ma che comunque non basta affatto dovendoci mettere nei panni di chi affronta ogni giorno un certo tipo di marginalizzazione sistemica (quasi sempre ignorata, sbeffeggiata o sminuita).

Partiamo dal punto che, a priori, sapevo con certezza essere sbagliato: adottare la “fat suit” (costumi, protesi o trucchi che ingrassano corpi non sovrappeso o obesi) equivale alla dannosa “black face” utilizzata per interpretare persone nere da attrici e attori che non sono nere o neri. E questo è dunque il punto nocivo più evidente e immediato che si possa percepire.

Tutto il film è poi caratterizzato da un ritmo lento e pesante (enfatizzando la rappresentazione dello stesso protagonista), condito da auto-commiserazione, vittimismo e pietismo “immobilistico” che di certo non aiutano all’immagine di chi vive la stessa condizione di Charlie (egli stesso si considera “disgustoso” e ricerca tale conferma nelle altre persone, ma anche di questo ne parlerò dopo…).

E a proposito di mostro: ancora una volta lo stereotipo del “corpo mostruoso” (e un corpo di quella stazza mostruoso lo è davvero, perché così viene rappresentato e pure così finisce, cioè morto) viene sottolineato da dei close-up che inquadrano porzioni del corpo e inestetismi talmente eccezionali da sortire un tossico effetto “wow!” di entusiasmo in chi guarda, lasciando che la cura dei dettagli offuschi totalmente le conseguenze pericolose di quella maschera.

Insomma il mix di curiosità, disgusto e morbosità che “The Whale” suscita non può portare niente di positivo alla causa dell’inclusione delle persone con corpi grassi, tantomeno inscenando quei disturbi alimentari che (a proposito di auto-sabotaggio e commiserazione), tentando quasi di colpevolizzare il protagonista, è come se volessero alleggerire la responsabilità dei nostri sguardi, come a renderci meno crudeli e meno pungenti, meno nocivi davanti a ciò che stiamo osservando (e inevitabilmente giudicando): la morte di qualcuno, senza fare niente per distaccarcene.

Ecco che in tutto questo non può esserci nulla di positivo, ribadisco, perciò concludo soltanto con una riflessione finale: chi abita un corpo ai limiti della grassezza viene talmente discriminato, nel suo quotidiano, che difficilmente si trova ad avere strumenti e mezzi, e quindi voce, per esprimere i propri diritti e rivendicare la propria identità. Proprio per questo dovremmo smetterla di osannare a priori certe pellicole, chiedendoci prima di tutto se queste rispettino e rispecchino le idee di chi si può rivedere nei loro personaggi.

  • PRO: La bravura dell’attore e la qualità del costume di scena (“fat suit”) non si discutono, così come l’efficacia dell’atmosfera, perciò li inserisco come punti a favore ma non riesco proprio a considerarli tali se si pensa all’intento e agli effetti sul pubblico del film.
  • CONTRO: Appropriazione di tematiche da parte di chi non le vive sul proprio corpo e nella propria vita, banalizzazione della marginalizzazione delle persone grasse, narrazione “funzionalmente” tragica stereotipata.

* LEGENDA CLASSIFICAZIONE:
🔴 = parla di disabilità in modo totalmente sbagliato (con pietismo, compassione, «inspiration porn» o eccessiva «romanticizzazione») e inoltre ha una pessima trama, banale o emotivamente ruffiana, facendo leva sulla pancia del pubblico;
🟡 = parla di disabilità non del tutto correttamente a livello concettuale ma ha una trama molto piacevole, emozionante, divertente o con punti interessanti (insomma, rappresenta comunque un buon prodotto di intrattenimento, così godibile però da non far pensare allo spettatore medio che quello che sta guardando non è proprio inclusivo);
🟢 = parla di disabilità in modo perfetto e ha pure una storia che funziona, accattivante, riuscendo a coinvolgere e a emozionare chi guarda in modo “sano”, senza ricorrere a un pietismo dannoso.

** DISCLAIMER:
Ogni commento a film, docu e serie TV è puramente personale: l’analisi sul fronte “inclusione” si fonda sempre su uno studio multidisciplinare ed esperienza professionale, mentre non c’è alcuna intenzione di dare pareri tecnici cinematografici, non avendo specifiche competenze in materia. Ricordo inoltre che l’arte resta ovviamente in gran parte soggettiva, perciò tutte le altre opinioni (compreso quelle divergenti) meritano rispetto e sono valide, basandosi sulle proprie emozioni. Fanno parte di questa lista quei titoli entrati nella grande distribuzione come Cinema, Netflix o Amazon Video; sono quindi escluse opere, soprattutto amatoriali, che sarebbero invece difficilmente reperibili.